Quello dei disturbi mentali non è un tema gettonato. O perlomeno non quando si tratta dei propri.

Seguo vari profili Instagram di psicologi e di influencer che promuovono la salute mentale e in tutti noto un filo conduttore.

Apprezzo il loro interesse nei confronti di uno dei temi di cui si parla ancora troppo poco nel 2022. Allo stesso tempo, però, credo che si provi una certa vergogna e si nutra un particolare senso del pudore quando si potrebbe ammettere di avere una malattia mentale.

Io ho il Disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e sono sicura di non essere la prima né la unica persona italiana a cui è stato diagnosticato. Eppure non ho mai avuto modo di confrontarmi apertamente con persone nella mia stessa situazione.

Noto indifferenza e ignoranza riguardo ai disturbi mentali e in particolare al mio. A volte, non c’è neppure la volontà di comprendere.

Mi è capitato di spiegare alle persone cosa io abbia e i risultati, spesso, non sono stati quelli che speravo. C’è chi ha confuso la mia patologia con lo stress, chi ha pensato che non sapessi come superare le mie paure e chi ha smesso di parlare di disturbi mentali in mia presenza per non urtare la mia sensibilità.

Fino a quando un giorno una persona non mi ha chiesto:

“Sarebbe un problema per te se qualcuno venisse a conoscenza del fatto che soffri di un disturbo mentale?”

E la mia risposta fu:

“Magari tutti lo sapessero!”

Che nel 2022 i disturbi mentali siano considerati ancora un tabù è preoccupante.

Non parlo a nome di tutte le persone che convivono con una patologia che invalida le loro giornate, ma io, Clarissa, se potessi esprimere un desiderio avendo la certezza che si realizzasse, sarebbe che tutte le persone del mondo, che entreranno mai a far parte della mia vita anche solo per un istante, sapessero che ho il PTSD.

E questo perché me ne farebbero dimenticare per qualche attimo, non risveglierebbero involontariamente i miei traumi né mi causerebbero le dissociazioni che tanto invadono la mia routine.

Un giorno, lo psicoterapeuta, che a Catania mi sottoponeva alla terapia EMDR, mi chiese se avessi spiegato alle persone che mi circondavano cos’è il PTSD, quali sono i suoi sintomi e se li avessi informati che ne sono affetta.

Io risposi che la mia vita era un tale via vai di persone che ne entravano e uscivano, che non avevo il tempo di raggiungere un livello di sintonia e di intimità idoneo da consentirmi di aprirmi con qualcuno.

A quel punto il terapeuta mi disse qualcosa di molto simile a questo:

“Il trauma è una parola greca (τραῦμα) che vuol dire ferita. Immaginala come se fosse un taglio, solo che, anziché essere fisico, invece di trovarsi su un braccio o su una gamba, sia un taglio all’anima. La maggior parte delle persone è sensibile alle ferite fisiche degli altri ed evita di toccarle per non causare ulteriore dolore. Quasi nessuno, però, sa riconoscere una ferita se non la vede. Il trauma è una ferita invisibile, sta a te far sì che gli altri ne siano a conoscenza e tentino di non riaprirla tutte le volte che provano a toccarti.”

Da quel giorno ho convissuto in maniera più onesta con il mio disturbo mentale. È proprio vero che a volte, anziché lottare, dobbiamo accogliere: che non vuol dire arrendersi, ma semplicemente amarsi come si è.

Perché grazie all’EMDR e alle altre terapie magari continuerò a notare miglioramenti. Ma non guarirò mai del tutto.

Convincermi che arriverà quel giorno in cui finalmente starò bene al 100%, per me, significa dirmi che oggi non vado bene e che ciò che sto vivendo ora è solo una perenne attesa.

Che solo un giorno, forse, sarò felice e potrò iniziare a godermi semplicemente il vento, il mare o il tramonto, mentre adesso è ancora il tempo di impegnarmi, di sacrificarmi.

Ho smesso di credere che sarò degna di raccogliere i frutti che merito soltanto quando terminerò la terapia. Questo pensiero mi ostacola, mentre mi impedisce di amarmi.

Oggi non posso amare una versione di me che ancora non esiste e che forse non esisterà mai.

Convivere con una malattia mentale vuol dire viaggiare lungo il percorso della mia vita con la consapevolezza di ciò che sono, che è anche il disturbo.

Ormai è una mia caratteristica.

Sicuramente è più che un difetto che un pregio, ma l’unica cosa da fare è lavorare affinché si trasformi in un valore aggiunto e non in qualcosa che mi impedisca di vivere ciò che agli altri risulta normale.

Vivere con una malattia mentale significa, nella maggior parte dei casi, non essere compresi, essere isolati o al contrario presi di mira. Significa essere sicuri che mai vivremo una vita normale e che siamo meno degni o meno capaci di altri in ogni sfera della vita.

Con il tempo ho capito che è più profittevole per la nostra vita convertire tutta questa sofferenza in forza, guardare dentro noi stessi e tirare fuori quelle risorse che a molti altri “normali” non sono state date.

Oggi non sono più la Clarissa che però ha il PTSD, ora sono la Clarissa con il Disturbo da stress post-traumatico.

Non solo faccio tutte le cose che le persone che non soffrono di disturbi mentali fanno, spesso compio azioni che gli altri reputano estremamente coraggiose e degne di nota.

Forse perché, dopo tutto il dolore che ho metabolizzato, oggi quasi più nulla mi spaventa.

Informazioni sull'autore

Ciao! Sono Clarissa Cusimano, Content Marketing Specialist e Nomade Digitale. In poche parole giro il mondo mentre lavoro online e scrivo, fotografo e filmo i miei viaggi; convivo con il PTSD; parlo anche di sostenibilità, libertà, indipendenza e salute mentale: ed è così che è nato clara-mente-in-viaggio 💫 Mi trovi anche su Instagram ☁️

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